Nelle scorse settimane vi abbiamo parlato di SNOQ Varese e delle sue attività e ricerche in tema di istruzione e ruolo delle donne in politica.
Oggi vi proponiamo un documento che illustra le attività del gruppo di lavoro che SNOQ Varese ha dedicato al tema dei diritti negati.
SNOQVarese: la strada dei diritti è ancora lunga
Uno dei gruppi di lavoro in cui SNOQVarese ha deciso di articolarsi è stato definito «Diritti Negati»: a Varese molto lavoro è stato fatto, ma tantissimo resta ancora da fare per garantire la piena parità sul lavoro, ad esempio. Retribuzione, responsabilità e conciliazione lavoro/famiglia sono tra le prime tematiche su cui abbiamo concentrato la nostra attenzione, insieme al tema, sempre presente e problematico anche sul nostro territorio, dell’applicazione della legge 194.
Una delle principali fragilità dell’economia italiana è, come ampiamente riconosciuto da studi e statistiche, il sottoutilizzo del lavoro femminile. Un ritardo grave nei confronti dell’Europa e dei paesi avanzati. Il lavoro delle donne nel nostro paese è ostacolato, infatti, dalla mancanza di efficaci politiche per la conciliazione lavoro-famiglia, dalla carenza dei servizi, dalla tutela inadeguata e/o parziale della maternità, dalla quasi totale assenza di politiche fiscali di vantaggio sia per l’occupazione che per l’imprenditoria femminile.
Si stima che il tasso di occupazione femminile italiano, attualmente il più basso fra i paesi europei circa il 47,5% contro il 59% della media europea, secondo solo a quello di Malta. Se si raggiungesse il target comune indicato dall’Unione europea, il Pil aumenterebbe di ben 7 punti percentuali (stime della Banca d’Italia). Le donne potrebbero, quindi, dare un contributo importante per portare l’Italia fuori dal tunnel della crisi e liberarla dalla condanna alla stagnazione perenne.
Guardando ai dati lombardi solo il 38% delle donne ha un lavoro a tempo indeterminato e il rapporto lavoratori part time/lavoratrici part time è 1 a 10. Analizzando un po’ più da vicino la situazione varesina ci accorgiamo che, ormai da molti anni, le donne lavorano in larga parte con contratti di lavoro part-time, perchè uniche figure incaricate della cura di figli e anziani.
Varese: il lavoro delle donne nel 2012
Avviamenti part time
Avviamenti full time
Settori d’attività
Una delle conseguenze di queste differenze è anche che le possibilità di carriera al femminile si riducono: gli uomini che raggiungono la categoria «quadro» sono il doppio delle donne (11% contro 5,9%) e le donne dirigenti sono l’1,4% contro il 4,5% dei lavoratori uomini.
Il gap di retribuzione è mediamente del 20% nonostante la legge Anselmi sul divieto di discriminazione lavorativa sia del 1977. Nel nostro Paese le dirigenti donna impegnate nel settore delle imprese private arrivano al 13,3% del totale, contro il 29% della media europea.
I dati anche di pochi giorni fa confermano che siamo uno dei paesi meno prolifici al mondo, e che se il saldo non ha la dimensione della tragedia demografica è solo perché le donne immigrate continuano ad avere un tasso di fecondità superiore. Il sostegno alla maternità e alla genitorialità è ancora insufficiente; una madre su tre, infatti, abbandona il posto di lavoro. Anche a Varese. Il congedo dei padri nei primi due anni di vita del bambino si attesta ad un misero 6%, lontanissimo anche dalla media europea. Ed è evidente che se una donna lascia il lavoro, rinunciando quindi all’indipendenza economica, non farà che rafforzare l’attuale situazione, invece che garantire una maggiore parità di diritti o, eventualità ancora utopica anche a Varese, stimolare gli uomini a chiedere congedi parentali.
Il congedo di paternità obbligatorio dovrebbe rispondere all’obiettivo di ripristinare le pari opportunità sul mercato del lavoro. Il testo di legge in materia, attuato del governo precedente, appare come una goccia nel mare. Aver previsto, come recita il ddl, un congedo di paternità obbligatorio per soli tre giorni (di cui due sottratti al congedo spettante alla madre) risulta quasi una provocazione, tenuto conto in particolare che le direttive europee lo fissano in almeno quindici giorni.
Ma per elevare il tasso di occupazione femminile è indispensabile attivare una forte politica di investimenti nel welfare. È vero, come si è appena visto, che gli enormi vincoli finanziari cui è sottoposta la nostra politica economica rendono difficilissimo trovare le risorse per costruire nuovi asili nido, estendere i servizi sociali, etc. ma è necessario dare la priorità a questo tipo di interventi perché il mercato del lavoro non può prescindere più dalla figura femminile. A Varese è possibile partire da migliori politiche sul territorio a reale sostegno della famiglia, aumentando i posti negli asili nido e incrementando servizi come i doposcuola.
L’applicazione della legge 194 in provincia di Varese
La nostra provincia presenta delle criticità importanti su questo fronte: l’alto tasso di obiezione di coscienza tra i medici e l’inefficacia dei consultori rischiano di mettere in discussione l’applicazione di una legge che dovrebbe dare alle donne il diritto di decidere se e quando diventare madri.
Nel presidio ospedaliero di S.Antonio Abate a Gallarate si registra una presenza di obiettori di coscienza del 100%: nelle stesse condizioni ben 11 presidi lombardi su 63, in cui per praticare un IVG si deve far ricorso ad un contrattista esterno. In altri 12 strutture il numero di ginecologi obiettori varia tra l’80 e il 99%: a Saronno, a Busto e a Ondoli di Angera supera l’80%. E in 21 presidi l’obiezione varia tra il 60 e il 79%, come, in provincia di Varese, accade a Tradate.
Si osserva come l’esercizio del diritto all’obiezione di coscienza abbia riguardato elevate percentuali di ginecologi fin dall’inizio dell’applicazione della Legge 194, con un aumento percentuale del 17,3% in trenta anni, a fronte di un dimezzamento delle IVG nello stesso periodo.
SNOQVarese vuole lavorare insieme ad istituzioni e alle altre associazioni attive sul tema prima di tutto per valorizzare i Consiltori famigliari: possono diventare questi i primi centri di prevenzione del fenomeno abortivo, con la formazione e l’informazione sulla sfera della sessualità, ma anche con una effettiva integrazione con i centri in cui si effettua l’IVG, potenziando anche il loro ruolo di centri di prenotazione per le analisi pre-IVG e per l’intervento. Questo determinerebbe una maggiore utilizzazione dei consultori da parte delle donne, anche tenendo conto che indagini dell’ISS, riguardanti il percorso nascita, hanno evidenziato un maggior grado di soddisfazione per tale servizio e migliori esiti in seguito alle loro attività, con particolare riferimento ai corsi di accompagnamento alla nascita (Rapporti Istisan 03/4, 11/12 e 39/12).